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Autore Il ritorno
gongolante

Reg.: 06 Feb 2002
Messaggi: 3054
Da: Cesena (FO)
Inviato: 12-03-2004 12:45  
La vita di due fratelli Andrey (Vladimir Garin) ed Ivan (Ivan Dobronravov) è improvvisamente sconvolta dal ritorno a casa del padre (Konstantin Lavronenko), visto solo in una vecchia foto di dieci anni prima. Ma è veramente il loro padre? Perché è tornato dopo tanto tempo? I ragazzi (non) troveranno le risposte alle loro domande su un'isola remota e desolata, viaggiando insieme all'uomo che cambierà per sempre le loro vite.

Film "on the road" ma il viaggio è soprattutto interiore dei due protagonisti, che hanno un atteggiamento diverso al ritorno del padre e alla vita stessa. Film che simula la realtà così spesso priva di risposte chiare, piena di storie spezzate, di momenti a se stanti. Non tutto torna, quasi tutto rimane sospeso, di sicuro la vicenda avrà lasciato un solco nella vita dei due ragazzi. Un modo di raccontare storie a cui sicuramente non siamo abituati, per questo a molti non piacerà. Personalmentel 'ho gradito senza amarlo particolarmente, è indubitabile che alcune sequenze mi siano molto rimaste ma ho trovato la visione forse eccessivamente "faticosa" (starò diventando pigro io?).
Voto 7-

Tra le note a margine, segnalo che il film ha vinto il festival di Venezia e che Vladimir Garin è drammaticamente morto affogando in un lago (e per chi ha visto il film il tipo di morte inquieta un pochino visto il ruolo dei laghi e dell'acqua in molte scene chiave del film).
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Cinematik - il fantacinema!
In fase di lettura: LE ETICHETTA DELLE CAMICIE di Tiziano Sclavi
Ultimo film: UN BACIO APPASSIONATO di Ken Loach

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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 29-07-2004 17:52  
La vita di due giovani fratelli, è sconvolta dall’improvviso ritorno del loro padre che non si faceva vedere da dieci anni. Lo stesso, li porterà a fare un viaggio su di un isola deserta, un viaggio che sarà caratterizzato dai continui contrasti tra il genitore e i figli, un viaggio che cambierà per sempre le loro vite.
“La scoperta di quest’anno si chiama Andrey Zvyagintsev”, si, perché “Il Ritorno”, oltre ad essere l’opera prima, vincitrice del Leone d’Oro e del Leone del Futuro, al 60° Festival di Venezia, è un film geniale, profondo, toccante e misterioso, una malinconica sinfonia. Primo film del regista russo, post prodotto col lutto al braccio a causa della morte sul set di Vladimir Garin, nel film nel ruolo del fratello maggiore, “Il Ritorno”, raccolse ben dieci minuti di applausi al Festival della Laguna, e ricevette solamente critiche positive da tutti i giornalisti e spettatori. Analisi accurata, rigorosa e a tratti figurata, del difficile rapporto tra genitori e figli, e dell’incoesione psicologico sociale tra di essi; indagine che va poi a sfociare in una pellicola complessa e perfetta, che sottolinea la magistrale fotografia, colonna sonora e le grandiose interpretazioni. Grande rinascita di un emozionante cinema russo.

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La ragione è la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie

René Descartes

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DAV333


Reg.: 27 Lug 2004
Messaggi: 118
Da: Milano (MI)
Inviato: 29-07-2004 18:42  
Io ho apprezzato moltissimo questo film per i seguenti motivi:
-l'ho ascoltato in versione originale e con la voce dei due giovani protagonisti è tutta un'altra cosa .
-io ho notato nella figura del padre, che in un certo senso guida i due ragazzi verso il viaggio della vita e della maturità, anche un senso spirituale religioso(vedi scena iniziale del padre addormentato sul letto che sembra il "Cristo Morto" di Mantegna).

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RICHMOND

Reg.: 03 Mag 2003
Messaggi: 13088
Da: genova (GE)
Inviato: 18-01-2008 13:01  
Non poteva trovare un titolo più azzeccato la grande promessa A. Zvjagintsev per il suo esordio alla regia, nel 2003. Infatti questo magnifico film rappresenta non solo l'apertura di un orizzonte per un nuovo cineasta che convince decisamente, ma anche la rinascita, forse il ritorno di un Cinema russo che, tolti Sokurov e Tarkovskij, stentava a farsi notare sulla scena mondiale.

Due fratelli poco più che bambini crescono in una città senza tempo e connotazioni gegrafiche, all'insegna di una vita fatta di esperienze epidermiche, sensazioni gelide, probabilmente distaccato rapporto reciproco. A loro manca qualcosa. Forse un padre.
Ma un giorno, proprio quest'ultimo, decide di tornare a casa, dopo un'assenza di dodini anni, come se nulla fosse, riprendendo una vita ossessivamente inquadrata ed introducendo i figli alla riscoperta non solo di sè stessi, ma anche dei rappoti umani.


I rapporti umani sono morti. Zvjagintsev ce lo suggerisce negando ogni possibile contatto fra i personagi, ma anche fra ogni elemento presente nelle inquadrature. La colorazione satura, ma anche variante su una scala di grigi che esclude ogni vivacità di colore, per cui la componente rossa è letteralmente eliminata, se non in determinate scelte tecniche, ci suggerisce che per lui ogni elemento filmico è isolato nel tempo e nello spazio. Che non esiste un elemento connettivo.
L'arrivo del padre dei due ragazzi smuove forse la situazione, ma quel meccanico re-inserimento nella famiglia, ormai composta e disposta come dentro ranghi prestabiliti, fa intuire che sarà dura ricurire i rapporti fra i personaggi.
E allora il modo migiore è un bel viaggio. Il viaggio è stato ampiamente usato, tanto nella letteratura, quanto nel Cinema, per raccontare di opiù del semplice susseguirsi di luoghi.
Ed anche qui accade lo stesso. Zvjagintsev sposta i suoi personaggi sul set, escludendo ogni altro essere umano (se non per comparsate necessarie ai fini della trama), facendoci capire come effettivamente questa sia la storia di singoli individui che si cercano, forse si trovano, ma non riescono a comprendersi.
C'è l'acqua a fungere da unico collante emotivo. Un'acqua che inizialmente è esplorata, quasi violata come in un rito iniziatico per "contare", per essere "qualcuno" in un'esistenza priva di valori etici, ma che poi diviene una sorta di personaggio, di terza figura sul set, che supplisce alla mancanza della parola, del contatto. Le immagini di ogni oggetto (essere umano o non) inqudrato, si stagliano su uno sfondo ben definito, a suggerirci - come già Sokurov fece nel 1988, anticipando il digitale, significativo per operare simili scelte tecniche - come il mondo sia frammentato, scisso, come non vi sia alcun legame di coesistenza.
Solo l'acqua -talvolta il mare, un lago, talaltra la pioggia scrosciante- potrà tentare di unire tutti.
Ma il mare potebbe anche inghiottire ogni segreto.

L'uso magnifico di paesaggi e colori mi ha rimandato al sublime Dersu Uzala di A. Kurosawa, in cui la metafora del viaggio attraverso luoghi inesplorati, foreste che sussurrano, onde che massaggiano e cullano (come anche le riprese si adattano a fare, compensando la mancanza di quel senso di potezione o del sentimento di paternità spezzato per dodici anni...con un lento ondeggiare, a desta o a sinistra), stratificazioni del cielo, che muta le sue forme, i suoi toni, tentano di ricollegare tanti pezzi perduti.
Sebbene le tematiche siano apparentemente diverse, tanto Dersu Uzala , quanto Il ritorno sono poesie narrate con luci e colori, immagini, riflessi, in grado di sfiorare l'anima, di suscitare rimorsi smarriti nello spazio recondito del nostro subconscio, irrazionali, che non riescono a trovare logica spiegazione.
Quel loro distacco formale, quel parlare attraverso un ingenuo scambio di dialoghi essenziali, quasi ermetici, forse ungarettiani (con soli e mari che si "illuminano d'immenso", unicamente con gli sguardi e non con le parole), trovano una spiegazione, guardando al passato, nella rinuncia a volervi riflettere. E' bene ricordarsi chi o che cosa eravamo. Ma ciò che conta, ormai, è quello che saremo. Zvjagintsev guarda avanti, al futuro. Così un ritorno è la ricomprsa di un padre. Ma anche dell'uomo. Proprio come nel capolavoro di Kurosawa.

Isolando nel freddo e nel tenue, scandendo personaggi ed oggetti, eslcudendo ogni altra umana presenza, in un viaggio evolutivo che vuole portarci a riscoprire prima di tutto noi stessi, isolati nel tempo nello spazio, prima Kurosawa, poi Zvjagintsev vogliono parlare del dramma del singolo, nell'ossessiva ricerca di una spalla su cui appoggiarsi, versare qualche lacrima amara, trovare conforto all'atterrimento.
Ci raccontano un eterno dramma umano.


Già postato qui .
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L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.

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sloberi

Reg.: 05 Feb 2003
Messaggi: 15093
Da: San Polo d'Enza (RE)
Inviato: 18-01-2008 13:12  
ha ha... il topic "Il ritorno" con autore gongolante mi aveva fatto pensare che fosse tornato lui
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E' ok per me!

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RICHMOND

Reg.: 03 Mag 2003
Messaggi: 13088
Da: genova (GE)
Inviato: 18-01-2008 13:17  
Si è risentito da quando gli hai soffiato la poltrona.
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L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.

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